Anche se ci mancano le parole dobbiamo usarle lo stesso

L’autarchismo linguistico del fascismo tra propaganda e problemi di comunicazione

19:30

Lo sapevate che c’è stato un momento in cui se entravate in una farmacia chiedendo un cachet potevate essere accusati di comportamento antipatriottico? E che fino agli anni Trenta nessuno chiamava l’ascensore ascensore? E che se volevate un cocktail dovevate chiedere un arlecchino? Durante il fascismo la lingua italiana doveva propugnare i valori del regime e per questo sono state messe al bando le parole straniere che mal si integravano con l’immagine di trionfante italianità. Lo stesso intento ha ispirato la scelta del virile e aristocratico voi al posto del banale lei, per cui dagli spiritosi dell’epoca, Galileo Galilei era indicato come Galileo Galivoi. Al di là degli aspetti più bizzarri e folcloristici, la battaglia dell’italiano si inseriva in un preciso disegno propagandistico che il documentario “Me ne frego”, presentato con grande successo all’ultima mostra del cinema di Venezia, indaga e spiega con puntualità. Il regista Vanni Gandolfo e la linguista Valeria della Valle ne sono gli autori e, oltre a presentarci il loro bel documentario, ci parleranno di come le parole, checché ne dicessero Mina e Alberto Lupo, non sono solo parole, ma possono davvero cambiare il mondo.